lunedì 21 ottobre 2013

La fragile transizione tunisina




Il 5 ottobre, il governo tunisino guidato da Ali Larayedh ha formalmente accettato di cedere il potere ad un esecutivo di tecnici. Durante la prima sessione della "Conferenza del dialogo nazionale", i principali partiti politici del paese hanno sottoscritto la road map proposta dal Quartetto di mediatori - il sindacato UGTT, il patronato Utica, la Lega tunisina per i diritti umani e l’Ordine nazionale degli avvocati - per superare la lunga crisi politica che paralizza il paese.

L’unico dei tre partiti che formano la coalizione al potere in Tunisia a non aver firmato il Piano di Riconciliazione Nazionale è stato il partito del presidente Moncef Marzouki, il Congresso per la Repubblica (Cpr), sebbene lo stesso presidente abbia preso parte alla cerimonia della firma e abbia sostenuto il progetto. Oltre al Cpr, solo altri quattro partiti minori non hanno firmato il documento.  

In base all'accordo, dopo una serie di incontri tra gli esponenti dell’esecutivo uscente e i leader delle forze d’opposizione verrà varato un nuovo esecutivo di tecnici che avrà il compito di traghettare il paese fino alle prossime elezioni politiche. L'accordo stabilisce inoltre un termine di quattro settimane per l'adozione di una nuova legge elettorale, l'annuncio di un calendario per nuove elezioni e il completamento del progetto di Costituzione a lungo rimandato.

La crisi tunisina nasce dall’omicidio del deputato dell’opposizione Mohamed Brahmi, il secondo assassinio politico in sei mesi dopo quello del leader dell’opposizione Chokri Belaid, ucciso nel febbraio scorso a Tunisi. Le proteste popolari innescate dai due episodi hanno causato, in ordine di tempo, la caduta del primo governo a guida islamista e la paralisi dell’esecutivo attuale.  
I detrattori di Ennahda attribuiscono al partito al governo la responsabilità morale della violenza politica che ha dominato quest’ultima fase della transizione tunisina, per non aver condannato gli estremisti, aver banalizzato le denunce di  minacce e per non essere riuscito a impegnarsi in un autentico processo di riconciliazione tra le fazioni politiche tunisine.
L’opposizione tunisina ha più volte accusato Ennahda di connivenza e tolleranza nei confronti delle realtà salafita, da alcuni definite "il braccio armato di Ennahda” e che spesso hanno agito impunemente. Registrata come organizzazione non governativa nell’aprile 2011, Ansar al-Sharia è considerata la più radicale delle formazioni jihadista-salafite emerse in Tunisia dopo le rivolte del   2011 e dal 27 agosto 2013 è stata classificata dal governo come organizzazione terroristica e accusata degli omicidi di Belaid e Brahmi.
Entrambi gli omicidi sono avvenuti in un momento delicato per la Tunisia, con la troika ( Ennahda, Ettakatol e Congresso per la Repubblica) che faticava a governare il paese, la crescente minaccia terroristica e l’eco delle massicce proteste di piazza che in Egitto hanno portato alla destituzione di Mohammed Morsi lo scorso luglio.  

Mentre la violenza, il caos e la repressione hanno inghiottito gli altri paesi che hanno vissuto le rivolte arabe dal 2011, i gruppi politici della Tunisia hanno optato per un percorso più misurato e non si sono mai verificati importanti episodi di violenza tra i principali attori politici coinvolti. A differenza della Siria o dell’Egitto, in Tunisia non ci sono attori esterni che tentano di interferire nelle dinamiche interne, le Forze Armate tunisine sono sostanzialmente apolitiche e, a differenza dell'Egitto, non vi è un partito politico dominante. Ripetutamente accusata di condividere o di non riuscire a tenere a freno la violenza salafita e elaborare un piano di ripresa economica, Ennahda ha progressivamente perso consensi, sebbene possa ancora contare su una solida base elettorale. A ciò si aggiunga l'importanza crescente dell' UGTT, un potente conglomerato di sindacati che conta più di mezzo milione di membri in un paese di 10 milioni di persone, sempre più protagonista nella dinamica politica del paese.

Se sul fronte politico la strada può dirsi tracciata, economia e sicurezza restano le sfide più complesse. Se quest’estate il paese ha visto un netto miglioramento nel settore turistico, i ricavi  sono ancora significativamente inferiori a quelli del 2010 e, sul fronte economico generale, il governo ha ridotto le previsioni di crescita dal 4,5 al 3,6 %.  I timori degli investitori esteri sono poi connessi al rischio che il Fondo Monetario Internazionale non conceda la seconda tranche del prestito da 1,74 miliardi di dollari, concluso lo scorso giugno, per la mancata attuazione delle riforme necessarie.
Sul fronte della sicurezza, oltre alla violenza politica di cui sopra, proseguono gli scontri tra l’Esercito tunisino e i militanti legati ad al-Qaeda nel Maghreb islamico, sul Monte Jebel Chaambi, lungo il confine occidentale con l'Algeria. Uno dei pericoli futuri è poi connesso all’eventuale ritorno in patria dei tunisini che starebbero combattendo al fianco dei ribelli islamici in Siria.  Secondo le cifre fornite dal ministero degli Esteri tunisino il numero dei combattenti su aggirerebbe attorno alle 800 unità ma la stima effettiva risulta però essere viziata dall’elevato numero di persone che hanno lasciato il paese illegalmente. Il ministero dell'Interno ha riferito che, negli ultimi mesi, i controlli alle frontiere avrebbero impedito la partenza di oltre 1000 tunisini diretti in Siria. 

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