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martedì 12 novembre 2013

Nigeria. La probabile ricandidatura del presidente Jonathan - John Campbell















In "Nigeria’s President “Under Pressure” to Run for Re-Election", John Campbell affronta il tema della possibile ricandidatura del presidente Goodluck Jonathan alle elezioni del 2015.

L’8 settembre, ricostruisce Campbell, i media nigeriani hanno riportato una dichiarazione del presidente Jonathan sulla pressione crescente che avvolge la sua eventuale ricandidatura nel 2015. Parlando attraverso il suo Consigliere Speciale sulle questioni politiche, Ali Ahmed Gulak, Jonathan ha detto che oltre 1.665 gruppi si sono offerti di lavorare alla campagna per la sua rielezione. Il suo portavoce ha aggiunto che i nigeriani nella diaspora gli hanno espresso il desiderio di tornare nel paese e votare per il Partito democratico del popolo (People's Democratic Party), PDP.

Jonathan è il capo del partito e sarebbe il legittimo candidato presidenziale qualora decidesse di ricandidarsi ma il presidente ha più volte ribadito che avrebbe annunciato le sue intenzioni solo nel 2014.

Eletto vice presidente nel 2007, Jonathan, un cristiano del sud, è stato presidente "ad interim" quando il presidente Yar'Adua, musulmano del nord, stava morendo. Dopo la sua morte nel 2010, Jonathan è diventato presidente ed è poi stato eletto nel 2011. Anche se per la carica di presidente della Nigeria il limite è di due mandati, la maggior parte dei giuristi nigeriani sostiene che Jonathan possa ricandidarsi nel 2015, dal momento che è stato eletto presidente solo una volta. Tuttavia, in un sistema informale all'interno del PDP per cui il candidato alla presidenza si alterna tra il nord e il sud ogni otto anni, nel 2011, era ancora il turno del Nord. Molti nel Nord si aspettavano che Jonathan portasse a termine il mandato di Yar'Adua per poi i farsi da parte a favore di un candidato del nord ma così non è stato e oggi molti politici sostengono che Jonathan non si ricandiderà nel 2015 proprio in cambio dell’ appoggio politico del nord di cui ha beneficiato nel 2011. 

La possibilità che Jonathan possa ricandidarsi nel 2015 è una delle ragioni principali della recente spaccatura all'interno del PDP.

giovedì 26 settembre 2013

Jacob Zuma si piega alla volontà di Mugabe - John Campbell



In un articolo su Think Africa Press ripreso da John Campbell nel suo blog, Africa in Transition,  Simukai Tinhu fornisce una risposta credibile al perché il  presidente sudafricano Jacob Zuma ha abbandonato i suoi principi democratici e il suo ruolo di leader di fronte all' intransigenza dell'uomo forte dello Zimbabwe, Robert Mugabe.
La tesi di fondo che Tinhu sostiene è che Mugabe abbia argomenti migliori di Zuma.
Prima delle elezioni di luglio, Zuma aveva lavorato con l'organizzazione regionale, la Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe (SADC), per garantire l'adozione di un pacchetto di riforme promesse da Mugabe. Se effettivamente attuate, queste riforme avrebbero portato ad elezioni credibili e, con una buona probabilità,  il Movimento per il cambiamento democratico avrebbe potuto vincerle. Ma Mugabe ha rinnegato quelle promesse e ha messo in chiaro di essere pronto a ritirarsi dalla SADC se l'organizzazione non avesse preso atto del risultato elettorale. Tinhu sostiene che Zuma, memore del suo ruolo di leader, non voleva essere responsabile della rottura di una grande organizzazione regionale.Per tutto il periodo pre-elettorale, Mugabe è stato intransigente, insistendo sul fatto che l'occidente avrebbe dovuto prima rimuovere le sanzioni che gravano su di lui e i membri del suo partito e poi avrebbe approvato le riforme. Zuma, ovviamente, non aveva il potere di farlo.Tinhu sostiene che Mugabe ha "deliberatamente ignorato ogni decoro diplomatico" per attaccare Zuma personalmente.
Infine, Zuma si sarebbe convinto che l'opposizione in Zimbabwe non aveva alcuna possibilità di sconfiggere Mugabe e ciò avrebbe indotto il presidente sudafricano a prendere in considerazione un rapporto con Mugabe dopo le elezioni. Tinhu guarda poi alle elezioni in Sudafrica del 2014. Mugabe potrebbe compromettere la possibilità di Zuma di essere eletto qualora sostenesse l'alternativa radicale all'African National Congress (ANC) rappresentata da Julius Malema e i suoi Economic Freedom Fighters. Tinhu sostiene che "le prossime elezioni hanno costretto Zuma a mettere il suo istinto di conservazione al di sopra della diffusione della democrazia e la tutela dei diritti umani in altri paesi". Campbell non ritiene che Malema possa costituire una minaccia realistica alla rielezione di Zuma . Ma i recenti scioperi, le proteste urbane per i servizi scadenti, l'eco del massacro di Marikana e le crescenti critiche all'ANC potrebbero aver indotto Zuma a ritenere che Malema, sostenuto da Mugabe, possa essere una grave minaccia.

venerdì 9 agosto 2013

Elezioni nello Zimbabwe: il fallimento della "soluzione africana" - John Campbell



In merito alle elezioni tenute nello Zimbabwe il 31 luglio e vinte da Robert Mugabe e il suo partito Zanu-Pf, l'Unione Africana (UA) e la Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe (SADC) hanno parlato di elezioni "libere e credibili". Altri, ci spiega John Campbell in "Zimbabwe Elections: Impact on “African Solutions” , sono meno convinti della credibilità dello scrutinio

Il governo del Botswana ha inviato una squadra di 80 osservatori elettorali nello Zimbabwe. Sulla base delle osservazioni presentate dal  team, Gaborone si interroga se il processo elettorale e il suo risultato "possono essere riconosciuti come equi, trasparenti e credibili", nel contesto delle linee guida e dei principi della SADC. Gaborone sostiene che la SADC "non dovrebbe mai creare il precedente indesiderabile di consentire deroghe alle proprie regole proprie." La dichiarazione del Botswana si conclude chiedendo una verifica indipendente delle elezioni e raccomanda che le questioni poste dalle elezioni siano iscritte all'ordine del giorno del prossimo vertice dei capi di Stato e di governo della SADC.

Utilizzando i principi enunciati dalla SADC come standard di giudizio, Botswana reputa le elezioni dello Zimbabwe "viziate".

Il presidente del Sudafrica. Jacob Zuma, l'ex presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo, l'UA, gli osservatori della SADC e numerosi altri governi africani hanno invece tutti approvato le elezioni dello Zimbabwe. Il Botswana, ancora una volta, è l'eccezione democratica, commenta Campbell.

Sisonke Msimang, giornalista sudafricana, fornisce un pensiero, anche se polemico, nel rispondere alla domanda sul che cosa le elezioni Zimbabwe significhino per l'Africa: “This is what you call ‘an African Solution’?” 

La giornalista definisce le reazioni di AU e SADC alle caotiche elezioni nello Zimbabwe, truccate da Robert Mugabe e lo ZANU-PF, come un "esempio imbarazzante di quanto sbagliata sia stata l'applicazione della soluzione africana alla crisi dello Zimbabwe." Il problema non sono i principi, ma la loro attuazione.

Msimang ricorda inoltre che l'Accordo politico globale tra ZANU-PF e MDC-T (la soluzione di condivisione del potere per superare la crisi e le violenze post-elettorali nel 2008) è stato fatto a Pretoria dalla SADC. La diplomazia al tempo aveva usato buon senso, chiosa la giornalista. Ma per lei, il Sudafrica, la SADC e l'UA non sono riusciti a seguire, far rispettare e applicare tali accordi e di conseguenza garantire elezioni democratiche. E, osserva, questo fallimento non può essere imputato a Washington o Londra. "Soluzioni africane ai problemi africani" è stato coniato dall'ex presidente sudafricano Thabo Mbeki.

martedì 6 agosto 2013

Repressione post-elettorale nello Zimbabwe - John Campbell




Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe e il suo partito, lo ZANU-PF hanno sempre usato la repressione per rimanere al potere.  Le elezioni del 31 luglio non fanno eccezione, ci dice John Campbell in "Zimbabwe’s Post-Election Repression".

Secondo SW Radio Africa, "la milizia giovanile dello ZANU-PF starebbe minacciando punizioni per tutti coloro che dovessero riferire di brogli elettorali".  "The Herald" , legato allo ZANU-PF, ha pubblicato  un avviso  del Vice capo della polizia "nel quale si mettono in guardia i politici che stanno prendendo in considerazione l'opzione di incitare i cittadini dello Zimbabwe a tenere proteste di massa. Proteste che non sono un bene per il paese. I politici non dovrebbero incolpare la polizia quando si trovano dalla parte sbagliata della legge".  The  Herald  riporta anche che la polizia sta effettuando blocchi stradali a livello nazionale, alla ricerca di veicoli in movimento verso il centro delle città.  

Finora, non vi è stata alcuna violenza, prosegue l'africanista del Council on Foreign Relations. Il principale leader dell'opposizione, Morgan Tsvangirai, ha annunciato che il suo partito, il Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC-T), contesterà il risultato delle elezioni nei tribunali, boicotterà qualsiasi contatto con il governo e chiederà all'Unione Africana (UA) e alla Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe (SADC)  ad annullare l'esito elettorale. Per un portavoce del MDC-T che ha perso nel suo collegio elettorale,  il partito potrebbe anche decidere di scendere in piazza. Il tesoriere del MDC-T sta, invece, invitando le persone a ricorrere a proteste civili.

La repressione e la memoria delle violenze del recente passato possono smorzare l'entusiasmo dei cittadini di scendere in piazza, commenta Campbell.  

Per quanto riguarda le reazioni internazionali alle elezioni sembra assistere a "Occidente" contro "sud del mondo", con Stati Uniti e Unione europea che sposano le opinioni della più credibile organizzazione della società civile dello Zimbabwe, lo Zimbabwe Elections Support Network (ZESN). L'UA e la SADC hanno, invece, accettato il risultato delle elezioni e il presidente sudafricano Jacob Zuma  ha presentato "profondi complimenti a Robert Mugabe".

Ma l'Australia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno espresso, nelle parole del ministro degli Esteri britannico, William Hague, "gravi preoccupazioni". Il Segretario di Stato americano, John Kerry, è stato ancora più diretto: "Alla luce delle sostanziali irregolarità riferite da osservatori interni e regionali, gli Stati Uniti non ritengono che i risultati rappresentino una credibile espressione della volontà del popolo dello Zimbabwe”.  L'Australia ha avvertito che non rimuoverà le sanzioni a carico dello ZANU-PF, a meno che non si tengano elezioni libere e credibili.

L'opposizione politica ufficiale in Sudafrica, la  Democratic Alliance ha commentato : "Congratulandosi con Robert Mugabe per la sua elezione rubata, il presidente Zuma ha fallito, lo Zimbabwe ha fallito e ha fallito anche la Comunità di sviluppo sudafricana non riuscendo a fornire quella leadership di cui la regione disperatamente necessita". 

venerdì 2 agosto 2013

Elezioni nello Zimbabwe: una farsa - John Campbell




Lo ZANU-PF di Robert Mugabe sta rivendicano la vittoria nelle elezioni del 31 luglio. Secondo alcuni osservatori, lo ZANU-PF ha vinto con enorme margine anche in circoscrizioni che, in passato, hanno sempre votato per l'opposizione, il Movimento per il cambiamento democratico (Mdc) di Morgan Tsvangirai. Allo stesso modo, esponenti dell'opposizione noti e popolari sarebbero stati sconfitti da sconosciuti candidati dello ZANU-PF. In "Zimbabwe Elections: A Sham", John Campbell ci spiega perchè tale massiccio spostamento di voti verso Mugabe e lo ZANU-PF non è credibile.

Lo Zimbabwe Elections Support Network ( ZESN ) è una coalizione di organizzazioni della società civile creata per osservare le elezioni. Il suo presidente, Solomon Zwana, ha riassunto ai media: "La credibilità delle elezioni è seriamente compromessa da uno sforzo sistematico di privare gli elettori urbani del diritto di voto. Almeno un milione di elettori è stato privato ​​dei diritti civili, spiega Zwana, che aggiunge come la massiccia distorsione fatta sui media statali, la campagna di intimidazione nelle zone rurali, la pessima organizzazione del voto e le vessazioni subite dalla società civile abbiano gravemente compromesso la credibilità di queste elezioni. "

Morgan Tsvangirai, il leader dell'opposizione e rivale di lunga data di Robert Mugabe, ha rilasciato una dichiarazione: "Questa elezione è stata una grande farsa. La sua credibilità è stata segnata da violazioni amministrative e legali che influenzano la legittimità del suo esito. Tsvangirai l'ha definita "una elezione farsa che non riflette la volontà del popolo. "

Nel frattempo, secondo i media, gli osservatori dell'Unione Africana e della Comunità di sviluppo dell'Africa australe ( SADC ) avrebbero confermato che le elezioni sono state credibili. (Mugabe ha vietato la presenza di osservatori elettorali occidentali ) Questa non dovrebbe essere una sorpresa, commenta Campbell. Gli osservatori africani sono riluttanti a criticare le elezioni in altri paesi africani. Il capo degli osservatori dell'UA, l'ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, è stato lui stesso coinvolto in tre elezioni truccate, come alcuni cittadini dello Zimbabwe hanno fatto notare quando l'UA ha annunciato la sua nomina.  

La domanda che si pone Campbell è quale sarà ora la reazione di Tsvangirai e del MDC-T. Ci saranno proteste e violenza, o i sostenitori del MDC-T abbandoneranno la politica in attesa che l'89enne Mugabe lasci la scena?

giovedì 1 agosto 2013

Zimbabwe, elezioni e violenza - John Campbell




Mentre i cittadini dello Zimbabwe si recavano alle urne il 31 luglio, alcuni organi di stampa si affrettavano a commentare che, a differenza del 2008, queste elezioni sarebbero state (relativamente) non-violente. Ciò significa che gli osservatori africani (della Comunità per lo sviluppo dell'Africa australe e dell'Unione africana), così come quelli che come John Campbell osservano dall'esterno rischiano di non poter trarre delle conclusioni credibili da questa tornata elettorale.
Sarà difficile, argomenta l'africanista del Council on Foreign Relations in "Violence in Zimbabwe" accertare se le elezioni sono state libere e giuste. Tuttavia, prosegue Campbell, gli osservatori potranno commentare il livello di violenza. Se ci sarà un ballottaggio, la violenza è destinata ad aumentare, come nel 2008.

La violenza nel quadro politico dello Zimbabwe è complessa, ci spiega l'ex ambasciatore americano in Nigeria. Ondate di violenza promosse dal governo si sono verificate fin dal 1980 e la violenza dopo le elezioni del 2008 è solo la più recente. Il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha creato uno stato di sicurezza basato sul terrore, la cui intensità varia a seconda delle circostanze. Ma, è sempre presente. La paura della violenza è molto radicata tra i cittadini dello Zimbabwe, soprattutto al di fuori della base elettorale dello ZANU-PF di Mugabe. Ci sono un sacco di aneddoti che i servizi di sicurezza alleati del partito di Mugabe stanno ricordando ai potenziali elettori dell'opposizione e il semplice richiamo genera una paura sufficiente ad avere le conseguenze desiderate.

C'è anche, nella violenza nel paese, una dicotomia tra area rurale e area urbana. La violenza nelle aree urbane è osservata molto più facilmente che in campagna. Eppure è nelle aree rurali che la violenza è stata più diffusa in passato. Lo Zimbabwe rimane una nazione rurale, è nelle campagne che la maggior parte degli elettori risiedono. Robert Mugabe e il suo ZANU-PF sono particolarmente forti tra l'elettorato della classe contadina. In ogni caso, se non è di una grandezza significativa, gli osservatori elettorali e i media esteri difficilmente possono rilevarla. Eppure potrebbe avere un impatto significativo sul risultato delle elezioni.

Infine, per i sostenitori della linea dura dello ZANU-PF, la legittimità dello Stato non deriva dalla Costituzione o dalle elezioni, ma piuttosto dalla fedeltà all'eredità della lotta per l'indipendenza . Lo ZANU-PF e Robert Mugabe sono i custodi di questa eredità e cercheranno di vincere, ad ogni costo.

martedì 30 luglio 2013

Elezioni in Mali. Ancora più domande che risposte - John Campbell





Le prime informazioni sulle elezioni in Mali di domenica 28 luglio provengono da fonti occidentali, in particolare da Radio France Internationale (RFI), Deutsche Welle (DW) e Voice of America (VOA). Secondo RFI, il presidente francese Hollande, che ha pesantemente investito politicamente affinchè le elezioni fossero un successo, ha lodato le elezioni "segnate da una buona affluenza e dall'assenza di qualsiasi incidente di rilievo." Il primo ministro francese Jean-Marc Ayrault ha rilasciato dichiarazioni simili, aggiungendo che "per la Francia si tratta di un grande successo ". Per il presidente ad interim del Mali, Dioncounda Traoré, sempre secondo quanto riporta RFI, "si è trattato della migliore tornata elettorale che i maliani possono ricordare dal 1960".  

Eppure, commenta John Campbell in "Mali’s Elections: Still More Questions Than Answers", tutto questo ottimismo lascia spazio a qualche dubbio. Inter Press Service (IPS) riporta gli avvertimenti fatti da alcuni gruppi politici maliani di frodi diffuse nel periodo che precede le elezioni. Mentre l'affluenza alle urne è stata stimata del 55% sia a Bamako che altrove, nella roccaforte settentrionale islamista di Kidal, VOA riporta che a metà della giornata delle elezioni, l'affluenza alle urne "era di una sola cifra per gli uffici elettorali che contano centinaia di elettori registrati." Alex Thurston, in un post del 29 luglio sul suo Sahel Blog, solleva l'importante questione della rabbia dei profughi del Mali esclusi dal voto.

In altri paesi africani, i brogi alle elezioni non avvengono tanto ai seggi elettorali, ma nel conteggio dei voti. I pericoli di frode denunciati dai candidati maliani alla vigilia delle elezioni potrebbero preparare il terreno per tentativi di delegittimiare il voto. E' al momento, conclude Campbell, troppo presto per trarre conclusioni circa le elezioni e se queste porteranno alla nascita di un governo percepito come legittimo, soprattutto nelle regioni settentrionali Taureg.

martedì 16 luglio 2013

Nessun cessate il fuoco in Nigeria - John Campbell




In No Cease-Fire in Nigeria, John Campbell commenta il video rilasciato da Abubakar Shekau,  leader ombra del gruppo islamico nigeriano Boko Haram,  nel quale nega categoricamente che ci sia un accordo per un cessate il fuoco con il governo nigeriano del presidente Goodluck Jonathan, allontanando la prospettiva di ogni futura intesa.

Il video, spiega l'africanista, può essere considerato una risposta all'annuncio dell'8 luglio del Comitato presidenziale per il dialogo e la pacifica risoluzione delle sfide della sicurezza nel nord della Nigeria che aveva parlato di un "accordo per il cessate il fuoco" raggiunto con il leader di Boko Haram. Successivamente, i membri del Comitato hanno precisato di aver parlato con "qualcuno che è secondo in comando e che ha negoziato per conto di Shekau".
Nel video, Shekau ha anche elogiato il sanguinoso attentato alla scuola dello Stato di Yobe dove quarantadue tra studenti e insegnanti sono stati uccisi.  "Gli insegnanti che impartiscono l'educazione occidentale devono essere uccisi in presenza dei loro studenti", le parole di Shekau.

Come spiega Campbell, ci sono state situazioni simili in passato: il governo ha annunciato l'accordo per un cessate il fuoco dopo aver negoziato con presunti leader di Boko Haram. Shekau ha invece smentito categoricamente qualsiasi accordo a riguardo. In realta, continua l'esperto, questa volta molti nigeriani erano scettici riguardo all'annuncio del governo.

Per le forze governative, Boko Haram è responsabile per l'attacco omicida contro la scuola. Campbell lo ritiene invece improbabile dato che Shekau ha sì approvato l'attacco, ma senza rivendicarlo. L' ipotesi dell'africanista del Council on Foreign Relations è che i responsabili potrebbero essere membri di Ansaru, splinter group di Boko Haram con presunti legami con gruppi jihadisti al di fuori della Nigeria a loro volta sono collegati con al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).  

Il video di Shekau indica, infine, che un altro gruppo di persone è stato aggiunto alle potenziali vittime di Boko Haram: gli insegnanti. Questi si uniscono alle forze di polizia, ai militari, ai funzionari a ai collaboratori con il governo di Abuja. Le scuole erano già un obiettivo degli attacchi, insieme alle stazioni di polizia, alle armerie, alle carceri, agli uffici pubblici, alle chiese, ad alcune moschee, a bar e bordelli. Stranamente, conclude Campbell, le strutture occidentali, ad eccezione dell'attacco contro il palazzo delle Nazioni Unite ad Abuja nel 2011, sono rimaste immuni dagli attacchi.

I rischi connessi alle prossime elezioni in Mali - John Campbell





Louise Arbour è l'ex Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, un ex giudice della Corte Suprema del Canada ed ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia e del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda. Dal 2009 è presidente e amministratore delegato dell' International Crisis Group. Per Campbell, quando la Arbour parla di governance, dovremmo prestare attenzione.

In un editoriale scritto insieme a Gilles Yabi, direttore del progetto Africa occidentale presso l'International Crisis Group "Mali: Election Threatens to Exchange One Crisis for Another", la Arbour sostiene che "le elezioni del 28 luglio rischiano di essere condizionate da tali carenze tecniche e da un basso tasso di partecipazione che il nuovo governo che uscirà dalle urna sarà privo della legittimità di cui ha bisogno per affrontare la crisi in corso nel paese". I due esperti sollecitano un breve rinvio della data delle elezioni ed esprimono profonda preoccupazione per il rischio di violenze post-elettorali.

Cosa fare?

Le proposte sono quattro. 

1) Le autorità del Mali, la Missione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione in Mali e le forze francesi devono prepararsi a fronteggiare attacchi terroristici durante la campagna elettorale e nel giorno delle elezioni.

2) Occorre fare tutto il possibile per migliorare il processo di registrazione e di voto.

3) Le autorità del Mali, l'Onu e la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas) devono lavorare insieme per assicurare "tutti gli aspetti del processo elettorale".

4) I candidati presidenziali dovrebbero prestare il giuramento solenne di rispettare i risultati delle elezioni.  

Questi sono suggerimenti pratici, ma difficili da attuare, sostiene Campbell. Gli attacchi terroristici sembrano probabili ma difficili da impedire. I preparativi elettorali sono poi abbastanza complessi in un paese in via di sviluppo, soprattutto dopo una guerra civile. La protezione del processo di voto richiederà che l'Onu e l'Ecowas mobilitino ingenti risorse, e non c'è molto tempo. E i giuramenti possono essere infranti. Ma, se attuate, tali proposte potrebbero, come dicono gli autori, "evitare che elezioni imperfette si trasformino in una catastrofe".

lunedì 15 luglio 2013

Dopo le violenze, scuole chiuse nel nord-est della Nigeria - John Campbell




In Schools Closed in Northeast Nigeria, John Campbell torna a parlare di Nigeria commentando le recenti violenze nello stato di Yobe dove un commando di estremisti islamici ha attaccato un liceo uccidendo 42 tra studenti e insegnanti. 

L'africanista del Council on Foreign Relations spiega che gli islamisti radicali che operano nel nord della Nigeria da tempo conducono una guerra contro l'educazione occidentale, rea di promuovere "mali "che vanno dal secolarismo alla statolatria. Questi estremisti vedono principalmente in quest'ultima una sfida fondamentale per il monoteismo nell'Islam. Boko Haram, commenta Campbell, ha già attaccato scuole in passato ma sempre al di fuori dell'orario scolastico, prendendo di mira l'istituzione piuttosto che i bambini.

Dalla metà di giugno, invece, gli islamisti radicali hanno iniziato a prendere di mira gli studenti stessi. Il 6 luglio un attacco condotto in una scuola nel nord-est dello Stato nigeriano di Yobe è stato particolarmente feroce. Secondo i media, 42 persone, per lo più studenti, sono stati uccisi nell'attacco. Il presidente Goodluck Jonathan ha reagito alla notizia scagliandosi contro i colpevoli e augurandogli di "bruciare all'inferno per il loro atto orribile." I politici nigeriani, l' Unione Europea e Amnesty International hanno condannato questo "orribile assassinio".

Dopo le violenze, continua Campbell, i genitori hanno iniziato a ritirare i loro figli dalle scuole, temendo per la loro sicurezza. A partire dall' 8 luglio, il governatore dello Stato di Yobe ha ordinato a tutte le scuole secondarie di chiudere fino all'inizio del nuovo anno scolastico, a settembre. Considerando gli elevati livelli di disoccupazione giovanile, in una regione in cui i livelli di istruzione sono bassi, la chiusura delle scuole è una tragedia, commenta Campbell. 

Secondo la stampa nigeriana, il Comitato presidenziale incaricato di mettere a punto un programma di amnistia e disarmo per i militanti di Boko Haram che si dimostrino disposti a rinunciare alla violenza avrebbe raggiunto un "intesa per il cessate il fuoco" con il gruppo. Durante il fine settimana però, la Joint Task Force sostiene di aver ucciso una quarantina di membri di Boko Haram.

Nei giorni successivi all'attacco, mentre l'Imam Muhammadu Marwana, un membro influente di Boko Haram, ha rilasciato una dichiarazione nella quale ha dissociato il gruppo dalle violenze e sembrava confermare l'accordo per cessate il fuoco, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, non ha preso posizione in merito agli eventi. In passato, conclude Campbell, ci sono state già richieste di cessate il fuoco ma Shekau ha già pubblicamente dichiarato il suo completo disinteresse per l'amnistia.